Alla corte del cappellaccio
Origini e storia dei cappellacci di zucca ferraresi protagonisti nei banchetti estensi ed illustri rappresentanti del connubio rinascimentale fra dolce e salato
Correva l’anno 1557 quando Giovan Battista Rossetti entrò al servizio del duca di Ferrara Alfonso II d’Este in qualità di scalco, un incarico particolarmente importante che gli assegnava il compito di organizzare e soprintendere al grandioso rituale del banchetto. Ferrarese di nascita, espertissimo “ad ordinare banchetti all’italiana e all’alemanna, di varie e bellissime invenzioni e desinari e cene familiari per tutti i mesi dell’anno” al suo nome sono legati i “tortelli di zucca con butirro” ovvero gli antenati dei cappellacci: a loro è dedicato un capitolo del suo trattato Sullo Scalco edito nel 1584.
L’opera non contiene vere e proprie ricette poiché era compito del cuoco, una figura di rango inferiore rispetto alla scalco, dosare gli ingredienti.
Ci offre invece interessanti indicazioni sull’andamento stagionale dei cibi, sulle circostanze ed il rango dei fruitori. Così apprendiamo che i tortelli sono una presenza ricorrente nei menù nobiliari da agosto fino a gennaio. Fanno eccezione quelli della Quaresima, un particolare che sottolinea l’originalità dei cappellacci ferraresi rispetto all’usanza di altre città italiane di inserire i tortelli di zucca nei menù di magro o penitenziali.
La zucca raccolta ad agosto e lasciata poi maturare al sole fino a novembre si conservava fino a gennaio, ma poteva essere utilizzata tutto l’anno grazie all’arte della conservazione: tagliata a fette o intera veniva fatta essiccare.